Per microclima si intende l’insieme delle condizioni climatiche esistenti nell’immediata vicinanza del suolo o in una piccola area della superficie terrestre; contestualizzando la definizione negli ambienti di lavoro, possiamo definire come microclima, le condizioni microclimatiche di un ambiente chiuso ottenute esaminando i livelli di temperatura, umidità, correnti e sbalzi d’aria.
Vediamo allora quali possono essere i disagi che un microclima sfavorevole può generare sui lavoratori. In realtà i disagi derivanti possono avere un impatto anche significativo sia sulla salute fisica che sul benessere psicologico dei lavoratori, con ricadute importanti sull’economia aziendale che poi si riflettono in giorni di assenza o di malattia.
Oltre a questo, non è da sottovalutare la componente soggettiva del rischio legato al microclima, soprattutto negli uffici frequentati da più persone in cui si innescano spesso tensioni e malumori legati alla differente percezione che ognuno di noi ha della condizione ambientale, dissapori che possono degenerare, nonostante questi non siano direttamente collegati al microclima, ma ne sono una evidente e significativa conseguenza. Ma quali sono allora i veri rischi diretti a cui sono esposti i lavoratori? Di seguito proviamo a sintetizzarli:
E’ stato inoltre stabilito che, per evitare “discomfort microclimatico”, che genera il decadimento delle prestazioni mentali, fisiche e danni da freddo, bisogna fare particolare attenzione all’eventuale raffreddamento di tre parti del corpo: mani, piedi e testa.
L’allegato IV del Testo Unico sulla sicurezza, delinea una serie di aspetti che il Datore di Lavoro deve tenere presente durante la valutazione del microclima; tali aspetti sono:
Ma non sempre è così facile dosare e miscelare al meglio queste tre caratteristiche in quanto molto variabili in relazione alla natura del luogo di lavoro e dall’attività che lì si svolge; la regolazione delle condizioni in un ambiente di lavoro chiuso e destinato ad attività prevalentemente d’ufficio, risulta più semplice rispetto a situazioni lavorative che prevedono una attività fisica continua, in spazi magari ampi (ad esempio in grandi magazzini, capannoni o realtà industriali quali industria chimica) o che espongano i lavoratori a condizioni climatiche esterne fortemente disagiate, si pensi per esempio a tutte le attività che devono essere svolte all’esterno a temperature basse in inverno o molto elevate in estate.
In questi casi la normativa prevede che, ove non possibile intervenire con impianti ad hoc, si provveda ad adottare misure tecniche quali protezioni dal freddo (DPI) per ambienti termici severi freddi, e organizzative (pause frequenti, lavoro notturno per ambienti termici severi caldi) rivolte a migliorare per quanto sia possibile le condizioni dei lavoratori.
A fronte di ciò si possono identificare tre tipi di ambienti di lavoro:
Soffermandoci in particolare sugli ambienti termici moderati, generalmente “non si hanno patologie dirette collegate ad un discomfort termico”. Tuttavia si sottolinea che un ambiente lavorativo con condizioni microclimatiche di discomfort “può comportare tra l’altro il deterioramento delle condizioni e delle capacità sia fisiche-muscolari che cognitive, diminuendo la capacità di reazione ed aumentando il rischio di infortunio”. Inoltre “umidità relative fuori dal range 40% < Um < 60% possono causare un aumento crescente di batteri, virus, miceti, acari ecc. con aumento dei rischi di igiene”.
Si segnala inoltre che, è stato dimostrato che le “condizioni di disagio termico comportano una diminuzione anche della produttività”.
Oltre a ciò, negli ambienti di lavoro, “sebbene globalmente vi siano temperature ed umidità accettabili”, può essere comunque presente un “disagio termico localizzato”, che può essere costituito da:
Riguardo alla valutazione del microclima, il Datore di Lavoro ed i suoi collaboratori ognuno per le proprie competenze (RSPP, Medico Competente e RLS), sia in ambienti moderati che in ambienti severi, fanno generalmente ricorso ad “indici sintetici” (che esprimono in un unico valore tutti i parametri) che vengono confrontati con standard di riferimento (TEC: temperatura effettiva corretta; WBGT: temperatura al globotermometro a bulbo bagnato; HSI: indice di stress termico; PMV: voto medio previsto, PPD: percentuale di insoddisfatti…) previsti da norme tecniche (ISO, UNI…). Per il calcolo di questi indici sono necessarie misure specifiche effettuate da tecnici competenti dotati di apposita strumentazione. Il loro impiego è necessario per una valutazione precisa e in particolare per valutare situazioni di stress e per il controllo di impianti di condizionamento.
In particolare si ricorda che per una corretta valutazione del microclima in ambienti termici moderati è “utile riferirsi alla norma tecnica UNI EN ISO 7730 calcolando in particolare gli indici sintetici PMV (Voto medio previsto) e PPD (Percentuale prevista di insoddisfatti) e confrontandoli con i valori di benessere indicati nella stessa norma”.
Inoltre si indica che in un primo approccio per la valutazione del microclima “risulta di facile applicazione il concetto di temperatura operativa (To). Essa dipende da diversi parametri (velocità dell’aria, coefficienti di scambio termico convettivi e radiante, temperatura dell’aria e temperatura media radiante [Tr])”.
Per poter limitare o addirittura eliminare i rischi causati da un ambiente di lavoro sfavorevole dal punto di vista climatico, è possibile procedere seguendo le seguenti modalità di intervento: